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domenica 21 marzo 2010

Ebla, la città bianca


La riscoperta del vicino oriente antico è avvenuta nel corso del XIX secolo ad opera di inglesi, francesi e, in seconda battuta, tedeschi. Il contributo dell'Italia è stato indubbiamente minore, lo testimoniano la qualità delle collezioni conservate nei diversi musei nazionali (Louvre e British museum in primis). Non che i Savoia fossero indifferenti al fascino delle antichità esotiche: semplicemente preferivano di gran lunga l'incomparabile monumentalità dell'Egitto. Non a caso il museo egizio di Torino è, al mondo, il secondo per importanza dopo quello del Cairo.
Diciamolo pure: l'Italia in medioriente è arrivata oltre tempo massimo. Ciò non toglie che, a partire dagli anni sessanta, il nostro paese si sia impegnato con alcune missioni archeologiche in medioriente.
Una in particolare ha rappresentato la svolta e il salto di qualità del nostro settore scientifico in questo ambito di ricerca.
Tell Mardick, nella Siria nordoccidentale, ha sempre suscitato grande curiosità nei ricercatori che lo visitavano. Il perché è presto detto: si tratta di un tell dalla forma circolare e di notevoli dimensioni, quasi 200 m di diametro, circondato da un poderoso terrapieno di forma ovale. Il terrapieno misura circa tre chilometri e nei punti più alti supera i quindici metri d'altezza.
Nessuno negava il fatto che si dovesse trattare di un centro di notevole importanza, ma l'identificazione di un tell con una città (nota o meno dalle fonti epigrafiche di tutto il vicinoriente) non poteva avvenire fino al ritrovamento di un prova documentale. Talvolta può bastare un'iscrizione in situ a fornirci il toponimo, ma in casi di dubbia localizzazione originale del reperto si rende necessario il ritrovamento dell'archivio cuneiforme.
Sono occorsi più di dieci anni di scavi per venire a capo dell'enigma di Tell Mardick; dieci anni di significative conferme sull'importanza del centro, prima tra tutte l'esistenza di un "palazzo monumentale" che indicava con certezza l'esistenza di una classe dirigente organizzata e ricca.
Tuttavia non mancavano le ipotesi di identificazione: tra le tante la più ambiziosa era certamente quella che individuava in Tell Mardick il luogo dove sorgeva la città di Ebla, un toponimo notissimo, diffuso in tutto il medioriente. Le fonti epigrafiche descrivevano Ebla come una città ricca e potente, centro di una rete commerciale che andava dall'Anatolia alla Mesopotamia. La comunità scientifica internazionale non nascose il proprio scetticismo verso un'identificazione tanto ambiziosa: sembrava quasi che questi italiani, gli "ultimi arrivati" nella corsa alla riscoperta del Vicino Oriente, si affidassero al sensazionalismo per nobilitare la propria posizione. Fu nel 1975 che le fatiche della missione archeologica italiana in Siria, guidata dal prof. Paolo Matthiae, vennero premiate con il ritrovamento, in un ambiente del cosiddetto Palazzo G, di un vastissimo archivio cuneiforme.
Le prime sommarie analisi testuali misero subito in evidenza come la lingua fosse del tutto originale (a differenza della grafia che era la stessa usata nel III millennio in Mesopotamia).
L'importanza del ritrovamento non consisteva solo nella conferma dell'identificazione di Tell Mardick con Ebla, ma soprattutto nel ritrovamento, per la prima volta, di un archivio cuneiforme risalente al III millennio in Siria.
Dopo oltre quaranta anni di scavi e di studi si conoscono molti aspetti della storia eblaita. Le informazioni provenienti dallo studio dell'archivio cuneiforme ci hanno restituito l'immagine di una città fulcro di un impero commerciale capace di raggiungere non solo il medioriente ma addirittura l'Egitto e l'Afghanistan.
La conquista della città, da parte di Naramsin nel III millennio e di Murshili nel II, fu impresa degna di entrare negli annali di questi illustri sovrani.

Ci sono stato ad Ebla, era il 2001. Ero in compagnia di alcuni miei compagni d'università che ho perso ormai di vista. Magari un giorno li rincontrerò.
Era ormai tardo pomeriggio ma la luce pomeridiana non mi impedì di rimanere impressionato dal biancore del terreno e delle rocce calcaree. L'etimo stesso del nome della città sembra derivare proprio da questa particolarità del terreno (* 'abl => "rocce bianche").
L'area già scavata è stata restaurata in senso conservativo e trasformata in parco archeologico. Mentre visitavamo il sito ci siamo accorti che il terreno che calpestavamo era pieno di frammenti minuti di ceramica antica; pezzi di storia quotidiana persi nello scorrere del tempo. E io li calpestavo. Tutt'intorno ragazzini del luogo che tentavano di venderci frammenti di qualcosa che avevano trovato gironzolando per gli scavi.
Poi il sole iniziò davvero ad abbandonarci e in compenso si alzò un vento forte e caldo; per tutta la piana si alzavano nuvole di polvere bianca che, alla luce tarda del giorno, sembravano rossastre.
La notte ho dormito ad Aleppo, preso il famoso Hotel Baron, quello di Lawrence d'Arabia e Agata Christie. Dopo la doccia sono sceso al bar dell'Hotel e ho sorseggiato un whisky tra una sigaretta e l'altra.
Avevo visto Ebla, ne avevo respirato il vento del meriggio e avevo camminato sui sui frammenti.

giovedì 11 marzo 2010

La presa di Babilonia


Esiste una città nel vicino oriente che tutti conoscono e che immediatamente richiama alla mente scenari esotici di eccezionale suggestione: Babilonia (in accadico Bab-ilum, "Porta degli dèi").
Si tratta senza dubbio del centro urbano più noto e glorioso della storia del vicino oriente antico ma, contrariamente a quello che la maggior parte delle persone possono credere, solo in determinate e limitate fasi della sua storia fu sede di un grande potere politico e militare.
Le origini del centro abitato sono ancora ignote, ma è ormai appurato che Babilonia assunse una dimensione realmente "urbana" solo a partire dal 19° secolo a.C.; prima di questa data, che coincide con l'avvento di Hammurabi e della dinastia amorrea, il toponimo di Babilonia non trova riscontri significativi né nella documentazione epigrafica, né in quella archeologica.
All'inizio del II millenio a.C. raccolse idealmente la tradizione culturale sud-mesopotamica delle gloriose città sumeriche (Ur, Uruk, Eridu su tutte) in contrapposizione all'altra nuova potenza emergente, quella assira, sviluppatasi a nord.
Fu centro religioso importantissimo, sede del culto del dio Marduk, una vera "star" internazionale, non solo a livello mesopotamico, ma in tutto il medioriente.
Ed è a Marduk, o meglio alla sua statua, che è legata la storia di oggi.
Siamo alla fine del 17° secolo a.C. e una nuova potenza militare si stava affermando nel lontano altopiano anatolico. Gente nuova - venuta dalle sconfinate steppe russe, parlanti lingue nuove e incomprensibili - si era affacciata nella penisola anatolica tra la fine del III e l'inzio del II millenio a.C..
Ci vollero alcuni secoli prima che questa etnia, numericamente inferiore, si affermasse sul sostrato khattico e prendesse il controllo del potere come classe dirigente.
La prima a parlarne - chiamandoli Etei - è stata la Bibbia e, per molto tempo, si è dubitato della loro stessa esistenza. Oggi sono noti con il nome di Ittiti.
Fu un popolo socialmente poco coeso (caratteristica che ne ha limitato fortemente il potenziale) ma fortemente incline alla guerra. Balzò all'attenzione del mondo (di allora) per un'impresa compiuta dal secondo (e forse più glorioso) re della loro dinastia: Murshili I.
Dettaglieremo più avanti la storia di questo personaggio. Anticipo solo che fu, di gran lunga, il più "vincente" tra i sovrani ittiti. Molte sono le imprese militari che ha compiuto nella sua breve esistenza, prima tra tutte la presa di Babilonia.
Armatevi di una carta del medioriente, puntate l'indice su Ankara e il pollice su Baghdad. Questa è la distanza che Murshili coprì con un esercito di svariate centinaia di uomini: all'incirca duemila km. Se l'impresa vi pare poco significativa, dovete immaginare che all'epoca non esistevano strade, e le "rotte" - fossero esse commerciali o militari - erano sempre meno certe mano a mano che ci si allontanava da "casa". Nel frattempo, mentre si tentava di raggiungere la destinazione finale, era estremamente probabile cadere in imboscate tese da eserciti ostili che, tra l'altro, si avvantaggiavano della conoscenza del territorio.
Murshili non solo raggiunse Babilonia tutto intero, ma riuscì anche a predarla; non si trattò infatti di un'effettiva conquista: quella degli ittiti fu una vera scorreria che vantò loro un bottino di guerra ricchissimo, degno della più ricca delle città.
Ma non furono né ori né pietre preziose a rendere eterne le gesta di Murshili, ma il furto di qualcosa di ancora più prezioso e sacro: la statua di Marduk.
Le truppe ittite entrarono nell'E-sagila e ne profanarono il sancta sanctorum, laddove era custodita la statua del dio. La asportarono dalla sua sede e la esposero alla luce del sole, suscitando l'orrore dei cittadini; l'immagine del dio rappresentata nella pietra era, per i fedeli di allora, il dio stesso e la sua visone era ad un tempo sublime e terribile.
La statua infine venne condotta fuori dalla città per poi essere abbandonata lungo il percorso di ritorno a casa, forse a causa di un attacco da parte di un esercito nemico.
Il gesto, ovviamente, venne deprecato a livello internazionale e Murshili può essere tranquillamente annoverato tra i "maledetti" della storia del vicino oriente antico; tant'è vero che la tradizione letteraria voleva che su Murshili fosse caduta una maledizione mortale. E forse un fondo di verità c'è dal momento che, poco dopo il rimpatrio, Murshili cadde vittima di un attentato del vile Kantili che gli successe sul trono. In alto a sinistra l'immagina del dio Marduk sul drago Mashusshu.

mercoledì 10 marzo 2010

Sargon, il re della battaglia


La millenaria storia mesopotamica ha visto sorgere, regnare e cadere un numero pressoché incalcolabile di sovrani, piccoli e grandi. Lo testimoniano i lunghi elenchi di re, le cosiddette liste reali, che gli scribi di ogni epoca si preoccupavano di mantenere e aggiornare in omaggio alla memoria del concetto stesso di regalità, al quale erano associati quello di giustizia sociale e mantenimento dell'ordine contro il caos. I re erano la speranza e la testimonianza vivente che il mondo era "ordinato" e tutto procedeva nella maniera dovuta. Alcuni di questi re li conosciamo solo per nome; di loro, infatti, mancano completamente fonti documentali che ne confermino l'effettiva esistenza. Di altri, invece, abbiamo testi che sembrerebbero confinarli più alla dimensione del mito che in quella della storia. Di altri ancora, invece, possediamo un numero esorbitante di documenti che ne attestano indiscutibilmente l'esistenza. A quest'ultimo gruppo, e primo nel mio immaginario per importanza storica e carisma, è sicuramente il fondatore della dinastia accadica: Sargon il Grande.
Giù il cappello di fronte ad uno dei più grandi sovrani della storia. Per chi non lo conoscesse, siamo di fronte ad un personaggio del calibro di Carlo o Alessandro Magno: una di quelle pietre di paragone con le quale, chiunque abbia mire "imperiali", deve fare i conti.
Visse a cavallo tra il 24° e il 23° secolo a.C. e diede avvio ad una delle più significative dinastie della storia vicinorientale.
Le sue origini sono leggendarie: figlio di una sacerdotessa entu (sacerdotesse vergini vocate alla cura del dio cittadino) e di padre ignoto(!?), venne abbandonato in fasce sulla acque dell'Eufrate in una cesta di vimini cosparsa di bitume (ricorda qualcosa?). Venne raccolto in seguito da un contadino, Aqqa, descritto come viticoltore o frutticoltore (A.BAL) e da lui cresciuto come un figlio.
La seconda fase della sua ascesa al potere ci è pervenuta in diverse versioni che, pur differendo in alcuni dettagli, concordano nel legarlo alla città nordmesopotamica di Kish. I testi lo indicano come coppiere (una sorta di primo ministro) del re Ur-Zababa il quale, in seguito ad alcuni sogni nefasti, decide di farlo uccidere per scampare ad una sorte infausta. Ovviamente il tentativo fallisce, Ur-Zababa muore o viene sconfitto (i testi non lo chiariscono) e Sargon diviene re di Kish.
Inizia quindi la fase espansionistica: Sargon sottomise tutte le città della bassa Mesopotamia, compresa la potentissima Uruk, guidata dallo storico re Lugalzaggesi (da leggere col la G dura, Lugalzagghesi).
In breve divenne, lui per primo, padrone incontrastato della valle tra i due fiumi. Non contento di ciò, riescì ad allargare il suo controllo, questa volta solo in senso commerciale, a tutta la Siria e l'Anatolia, giungendo a dichiarare di regnare dal "Mare Superiore" (il Mediterraneo) al "Mare Inferiore" (il Golfo Persico).
Fondò una nuova capitale, Akkad, in prossimità delle città di Sippar e Kish, lungo le rive del fiume Eufrate, ma i cui resti non sono ancora stati individuati.
Governò a lungo, pare per 56 anni (una cifra iperbolica, difficile da credere e non confermata da documenti ufficiali) combattendo fino ad età avanzata e reprimendo numerosi tentativi di rivolta.
La definizione ben rappresentativa di "Re della Battaglia" proviene da alcuni passaggi di un testo di tradizione paleobabilonese (19°-18° secolo a.C. e quindi successivo di diversi secoli a Sargon) conosciuto con il titolo in lingua accadica di šar tamkharim (Re della Battaglia), pervenutoci in svariate copie e lingue. Narra di una spedizione militare nei riottosi paesi anatolici per riportarli sotto il controllo commerciale accadico. Sembra che il testo non abbia un'effettiva valenza storica, e che l'impresa, se realmente avvenuta, sia da attribuire all'altra grande personalità della dinastia, Naram-Sin.
Naram-Sin era il nipote di Sargon, e così come quest'ultimo è passato alla storia come il prototipo del sovrano forte, giusto e devoto agli dèi, l'altro divenne sinonimo di re empio, ingiusto e debole. In realtà Naram-Sin non fu secondo all'antenato quanto a successi militari e capacità di governo; commise solo un errore: fu il primo uomo non egiziano della storia a divinizzarsi in vita. Ma questa è un'altra storia...
Ultima curiosità. Quella testa bronzea che si affronta nell'intestazione del blog pare essere il ritratto di un sovrano accadico. Non è ancora stabilito chi sia il personaggio ritratto. Sargon, "il Pio", o Naram-Sin, "il Maledetto"? In alto a sinistra la "Stele della vittoria" di Sargon, rinvenuta a Susa e conservata al Louvre.

lunedì 8 marzo 2010

Eridu: la prima città


Nessuna sacra dimora, dimora degli dèi in un luogo sacro era stata eretta, nessun giunco era spuntato, nessun albero era stato creato, nessun mattone era stato posto, nessuno stampo per mattoni costruito, nessuna casa era stata eretta, nessuna città era stata costruita....


Il passo precedente è tratto da un mito delle origini. Descrive un mondo primordiale, privo di ogni segno di civiltà, di ogni elemento riconducibile al mondo per come lo intendevano i sumeri. E’ da questo scenario primigenio che l’autore del mito colloca la fondazione di Eridu. La città di Eridu nell’immaginario sumerico rappresentava la prima città, il primo luogo in cui gli dèi del cielo posero una loro abitazione su questa terra.

Eridu è stata rintracciata tra le rovine di Tell Abu Shahrein, a meno di trenta chilometri dal sito di Ur, in un’area che ai tempi della fondazione risultava molto vicina alle acque del golfo. I depositi nei secoli del fiume Eufrate hanno allontanato di molto le rovine dal mare e anche il fiume si è allontanato, cambiando il suo corso.

All’epoca Eridu era una città unica nel suo genere, posta al confluire di tre ecosistemi: le acque dolci dell’area alluvionale del fiume, le acque salate del mare, e una vasta depressione paludosa, spesso invasa dalle acque, ai margini della quale venne fondato il centro urbano.

Fulcro del centro urbano era il tempio cittadino (E.abzu o E.engura), residenza del dio locale Enki, una delle massime personalità del pantheon sumerico. Era posto su un collina rialzata, nel mezzo dell’area depressa e, in seguito alle numerosissime ricostruzioni nel corso dei secoli, venne a trovarsi in una posizione dominante rispetto al resto dell’abitato.

L’immagine che si presentava agli occhi dei pellegrini in visita al santuario era quello di una montagna sospesa sulle acque. Nell’immaginario sumerico, l'intero creato fu originato dell’incontro di Abzu e Tiamat, le personificazioni delle acque dolci e salate. E’ chiaro che la visione di una città circondata dalle acque della palude, rese salmastre dalla vicinanza del mare, rappresentava il luogo perfetto in cui gli dèi avrebbero potuto collocare la loro prima e più antica residenza in questo mondo.

Eridu non ebbe mai l’importanza politica di altri centri come la vicina Ur, Uruk o Kish, tuttavia il suo prestigio, la sua importanza culturale rimase intatta per secoli anche ben oltre il periodo sumerico. Nella foto una ricostruzione della veduta del tempio di Eridu.

domenica 7 marzo 2010

Il codice di Hammurabi


Iniziamo la rassegna di "pillole" vicinorientali con qualcosa di noto a chiunque. Sicuramente ognuno di noi a scuola avrà avuto modo di imbattersi nel celebre Codice di Hammurabi e, altrettanto sicuramente, gli sarà stato presentato come "il primo codice di leggi dell'umanità". Si tratta di una definizione accettabile fintanto che rimaniamo in un ambito scolastico, preoccupato principalmente di metter sul tappeto i primi importantissimi passi dell'umanità verso la civilizzazione (agricoltura intensiva, urbanizzazione, scrittura e leggi). In realtà dovremmo aspettare il diritto romano prima di poter parlare di un corpus sistematico di leggi che descrivano preventivamente reati e conseguenti pene da applicare.
Tutti i "codici" mesopotamici, compreso quello di Hammurabi, hanno un valore dimostrativo, intendono cioè evidenziare la capacità del sovrano di governare il territorio con giustizia a garanzia di tutti. Nell'immagine del post è ritratta la sommità della stele conservata al Louvre: si vede il sovrano Hammurabi (sulla sinistra) rendere omaggio al dio sole Ea (sulla destra), divinità tutelare della giustizia.
Di fatto il codice di Hammurabi consiste in un elenco di quasi trecento sentenze poste sotto forma di norma generica. Summa awilum ("Se un uomo") è la formula introduttiva di molti degli "articoli" del codice che opera una distinzione sociale tra awilum (uomini liberi), muskenum (dipendenti dell'apparato statale e quindi semiliberi) e wardum (schiavi).
Dal codice emerge una società a prima vista cruenta, caratterizzata dalla famosa legge del taglione, "occhio per occhio, dente per dente", una forma regolata e quantificata della vendetta personale. Tuttavia la maggior parte degli studiosi mette in dubbio l'effettiva applicazione delle pene ritenendole più che altro una forma di deterrente.
Abbiamo detto che il Codice in realtà non è un codice; adesso sfatiamo un'altra leggenda: nel suo genere, il codice di Hammurabi non è stato nemmeno il primo. Ur-Nammu, o forse suo figlio Shulgi (come sostengono alcuni filologi), compilò una simile raccolta di leggi quasi tre secoli prima di Hammurabi, il cosiddetto Codice di Ur-Nammu.

sabato 6 marzo 2010

Oriente Antico: un amore sempre vivo

Ho dedicato otto bellissimi anni della mia vita all'orientalistica. Anni di studio piacevolissimo, di emozioni e suggestioni. Difficile spiegare cosa si prova quando si traduce un testo in cuneiforme a chi non ha mai avuto l'occasione di sperimentarlo di persona. Svelare un messaggio vecchio di millenni è come fare un viaggio nel tempo. Oggi il Vicino Oriente Antico, come viene definito da chi se ne occupa per lavoro, è per me solo un bellissimo ricordo. Ma ancora oggi, ogni volta che leggo un articolo, vedo un filmato o scorgo un libro su una bancarella dell'usato che parla di quest'argomento, vengo colto da un sentimento fortissimo di nostalgia.
Anche se oggi mi occupo di altro e solo occasionalmente mi imbatto in Sumeri e Assiri, sento che questo mondo ancora mi appartiene, e io appartengo a lui. Sono e resterò sempre un orientalista. Perso quasi completamente ogni contatto con l'ambiente universitario, ho deciso di creare una spazio mio che mi permetta di far conoscere, almeno a qualcuno, quanto bello, affascinante e profondamente "nostro" sia il mondo mesopotamico.
Il titolo del blog? Volevo un nome facile da ricordare e soprattutto che esprimesse chiaramente la finalità del blog. In un banale gioco di parole ritroviamo un riferimento all'oriente e un altro alla stampa, intesa non in senso giornalistico ma come divulgazione di informazioni.
Capiteranno anche post "fuori tema", ma essenzialmente il blog ha l'obiettivo di somministrare pillole di Vicino Oriente Antico sotto forma di curiosità e approfondimenti.
Non mi resta che dare il benvenuto a tutti coloro che vorranno venire qua a curiosare di tanto in tanto e augurare a me buon lavoro.