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lunedì 31 maggio 2010

Ma quale Eden?


Tutti quanti conosciamo la storia di Adamo ed Eva nel libro della Genesi dell'Antico Testamento. Dopo sei giorni di duro lavoro Dio creò l'uomo, Adamo, e da una sua costola (in altro luogo discuteremo anche di questo) plasmò la sua compagna, Eva. Infine Dio collocò i due progenitori dell'umanità nel giardino dell'Eden, conosciuto anche con il nome di Paradiso Terrestre, nel quale la prima coppia avrebbe potuto vivere per l'eternità senza affanni: frutta, animali, beni di ogni tipo erano offerti loro spontaneamente dal quel luogo incantato, senza bisogno di lavorare la terra o allevare bestiame. Poi le cose, lo sappiamo bene, presero una brutta piega, e da allora l'umanità conobbe fatica, dolore ed un'esistenza precaria.
Ricordo bene quando il prof. Conti, docente di Assiriologia presso l'Università degli studi di Firenze, spiegò a me e ai miei colleghi di corso l'origine di quella parola tanto affascinante, capace di suscitare in tutti noi un sentimento di profonda nostalgia per uno stato di benessere perduto per sempre. La parola Eden trova il suo quasi inalterato corrispettivo nel sumerico EDIN/EDEN che indica la steppa sconfinata ai margini delle terre coltivate di Sumer.
L'etimologia sumerica del termine Eden ci restituisce un messaggio di straordinaria potenza: il ricordo atavico - e probabilmente non del tutto consapevole - di un'epoca in cui l'uomo era libero dalla schiavitù del lavoro e dei vincoli sociali, in cui era sufficiente allungare la mano per ottenere tutto quello che la terra ci offriva spontaneamente. Frutti selvatici, cacciagione, acqua dai fiumi e dalla pioggia erano generosamente offerti dall'ambiente senza bisogno di coltivare, allevare o scavare pozzi. L'Eden è, in definitiva, la rappresentazione stereotipata - e certamente idealizzata - dello stile di vita mesolitico, quando l'uomo, pur nell'estrema precarietà della sua esistenza, viveva nel mondo con la stessa leggerezza e semplicità degli altri esseri viventi. Precario sì, ma profondamente libero.

martedì 11 maggio 2010

L'Epopea di Gilgamesh 1. Introduzione


Troverei assurdo e offensivo riassumere in un solo post la più grande opera letteraria che il mondo vicinorientale abbia prodotto; l’epopea di Gilgamesh sta al Vicinoriente come l’Iliade e l’Odissea stanno al mondo classico; vietato trattarla con leggerezza. Pertanto ho deciso di dedicare a quest’ opera una rubrica a parte che cercherò di aggiornare con una certa frequenza (non voglio mortificare la curiosità di chi è interessato con lunghe attese) analizzando i diversi temi che la attraversano: personaggi, riferimenti culturali e religiosi, chiavi di lettura e interpretazioni varie.

Innanzitutto è necessario chiarire che l’epopea, per come la conosciamo, non è un prodotto direttamente ascrivibile all’epoca sumerica come personaggi e ambientazioni lascerebbero immaginare; nella sua versione finale e completa l’epopea consta di dodici tavolette e la sua stesura finale sembra debba essere fatta risalire alla fase finale dell’epoca mediobabilonese (XII-XI sec. a.C.). Infatti lo studio sistematico di versioni poste in comparazione ha dimostrato che il testo finale non è altro che l’integrazione e la rielaborazione di episodi isolati, questi sì di epoca sumerica (III millennio a.C.), riconducibili tutti alle gesta di un unico eroe: re Gilgamesh di Uruk.

Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile affermare con sicurezza se questo personaggio sia realmente esistito; a parte le testimonianze epigrafiche di carattere letterario non si hanno documenti ufficiali che ne attestino inconfutabilmente l’esistenza. L’unica testimonianza tangibile riferibile a questo sovrano sono le poderose mura della città di Uruk che, secondo la tradizione, sarebbero state erette proprio durante il regno di Gilgamesh. Tuttavia un resto archeologico di per sé non può confermare una tradizione senza il supporto di un dato epigrafico incrociabile che la verifichi. Che sia esistito o meno Gilgamesh (da leggere con la G dura: Ghilgamesh), egli costituisce una figura cardine nell'immaginario di tutto il Vicinoriente antico: tavolette cuneiformi contenenti brani dell’epopea sono stati rinvenuti persino in Siria, Palestina ed Anatolia, a testimonianza della statura internazionale del personaggio e del racconto delle sue gesta.

Nel prossimo post tratteremo la genesi del testo, dalle origini sumeriche alla versione definitiva di epoca neoassira.