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domenica 22 maggio 2011

Enlil ed Enki: due fratelli molto diversi


La religiosità sumerica per molti aspetti può essere paragonata a quella greca. Alcuni grecisti potranno storcere il naso o addirittura stracciarsi le vesti se arrivo a dire che il ricco universo mitologico greco affonda le sue radici proprio nel vicinoriente. Del resto questa affermazione non dovrebbe stupire eccessivamente, è noto quanto le civiltà antecedenti abbiano sempre esercitato un potere di fascinazione e suscitato un desiderio di emulazione nelle successive; non sempre invece alle prime è stato riservato il giusto merito e la dovuta considerazione, spesso nemmeno dagli storici moderni. Ma vediamo quali potrebbero essere questi parallelismi. In primo luogo l'organizzazione geopolitica sumera era fondata - almeno in epoca classica - sul modello della città stato. Esattamente come sarebbe successo duemila anni più tardi in Grecia, le città sumere erano amministrativamente indipendenti le une dalle altre e i loro governi si reggevano su due pilastri principali, il re da un lato e dall'altro l'autorità religiosa rappresentata dalla casta sacerdotale del dio cittadino. Nonostante questa reciproca indipendenza - che spesso assumeva i caratteri dell'aperta rivalità commerciale o addirittura della guerra - le città sumere erano consapevoli di appartenere tutte ad uno stesso bacino culturale, di parlare una stessa lingua, di saperla rappresentare in forma scritta in un unico (o almeno con pochissime varianti) codice grafico e soprattutto di condividere una stessa concezione del soprannaturale. Le divinità sumere, sebbene distribuite nei vari santuari cittadini, avevano una dimensione sovracittadina ed erano ugualmente venerate e temute in tutta la nazione sumera. Gli archivi cuneiformi hanno restituito uno spaccato molto chiaro della complessità delle credenze sumeriche anche e soprattutto attraverso un repertorio mitografico straordinariamente suggestivo. Attenti esegeti, partendo da questi testi, sono riusciti a ricavare moltissime informazioni sull'origine di molte credenze, sul ruolo delle singole divinità e sulla stessa concezione del creato.

L'immaginario cosmico sumerico concepiva un universo costituito dall'unione di tre mondi indipendenti: la terra (intesa come sottosuolo), l'atmosfera (intesa come una fascia compresa tra cielo e terra, quella in cui vivono gli uomini) e il cielo. La triade posta a capo dei tre regni era formata da un padre - Anu, somma divinità del pantheon - e dai figli Enli ed Enki. L'etimologia dei nomi è illuminante circa la funzione delle tre divinità: Anu, padre degli dei, conserva, nel nome e nella grafia, la propria specificità dal momento che il segno che lo rappresenta (AN), una stella stilizzata, può assumere sia il significato di dio (in senso generico) sia quello di cielo. Enli, figlio primogenito, il cui nome è costituito dai segni EN (= "signore") e LIL (= "vento"), era il dio dell'atmosfera e sovraintendeva al mondo dei viventi, di quanto nasce, cresce e muore sulla terra. Enki (EN = "signore" e KI = "terra"), il secondogenito, era il dio del sottosuolo, signore dell'abisso sotterraneo nel quale erano conservate gelosamente le acque dolci necessarie alla sopravvivenza dell'agricoltura mesopotamica.

La funzione di Anu all'interno della concezione religiosa sumerica sembra essere più onorifica e meno attiva rispetto a quella dei due figli. Il potere effettivo, capace di determinare le sorti dell'umanità, appare essere una questione a due nella quale spesso l'autorità politica del primogenito, vero capo degli dei, è messa in discussione dal fratello più piccolo.

Alcuni tra i miti più importanti e fortunati della letteratura mesopotamica si basano sull'antagonismo dei due fratelli e soprattutto sulla diversa sensibilità nei confronti dell'uomo. A differenza del greco Ade, Enki rappresenta una figura positiva e non legata al mondo dell'oltretomba. Come anticipato precedentemente, Enki sovraintendeva all'abisso sotterraneo (ABZU) dal quale si credeva provenissero le acque delle sorgenti e dei fiumi, tanto indispensabili alla sopravvivenza del complesso sistema di irrigazione mesopotamico; l'indispensabilità delle acque fluviali - e conseguentemente la devozione per il dio che le dispensava - risulta tanto più comprensibile se si pensa che, in quelle terre, le precipitazioni naturali erano scarse o, al contrario, violente e dannose all'agricoltura. Non a caso Enlil, il dio atmosferico, era, secondo il mito, il responsabile del diluvio universale che portò l'umanità all'annientamento. E proprio il mito del diluvio universale nella sua più antica e originale versione, quella sumero-accadica, restituisce l'immagine più chiara del rapporto tra i due fratelli. Come si è detto, Enlil, infastidito dall'umanità e pentito della sua creazione, decide di annientarla con un diluvio e mette a parte della sua decisione l'intero comunità divina. Nessuno osa contrastare la volontà del grande Enlil se non il fratello minore, l'astuto Enki. Enki non riesce ad impedire al fratello di scatenare la sua furia sull'umanità ma, astutamente, contatta un umano, Atramhasis (Utnapistim o Ziusudra secondo altre tradizioni), il Noé biblico: lo avverte del pericolo imminente e lo guida alla costruzione di un'imbarcazione che metta in salvo la sua famiglia e i suoi animali. Al settimo giorno il diluvio cessa, e le preghiere e le offerte di Atramhasis, giungono sino alle orecchie di Enlil che, solo a quel punto, si accorge di non essere riuscito nell'impresa di sterminare l'intera umanità. Enlil è consapevole che solo Enki può avergli disobbedito, ma il fratello, tutt'altro che intimidito, lo sfida apertamente affermando la propria volontà di preservare la vita sulla terra. Alla fine i due giungono ad un accordo e l'umanità può nuovamente prosperare sebbene con maggiori limitazioni. Dal mito traspare bene il diverso ruolo e la diversa considerazione che i due fratelli avevano presso la comunità sumerica e risulta abbastanza evidente come Enlil, a differenza di Enki, fosse più temuto che amato.

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